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Ti ho cercata in tutti i necrologi - Recensione

29/05/2013 | Recensioni |
Ti ho cercata in tutti i necrologi - Recensione

Un noir atipico, misterioso, a tratti grottesco, a tratti surreale. Fin dal titolo, Ti ho cercata in tutti i necrologi, frase pronunciata dal protagonista a una sfuggente e bellissima ragazza appena conosciuta.
Il film segna il ritorno di Giancarlo Giannini alla regia dopo la prova del 1987 con Ternosecco, presentandosi nella triplice veste di regista, attore e produttore. Scegliendo di girare il suo film in Canada, il regista-attore ha costruito una pellicola enigmatica e visionaria partendo da un soggetto di Lorenzo Cairoli sceneggiato da Luca D’Alisera, Ludovica Rampoldi e Massimo Guglielmo.
Al centro della storia Nikita (Giannini), un ex tassista emigrato in Canada dove lavora come autista per una ditta di pompe funebri. Un giorno, dopo un funerale, un elegante signore di nome Braque (F. Murray Abraham) lo coinvolge in una partita a poker dove Nikita perde una cospicua somma. Per poter estinguere il suo debito gli viene proposto un gioco estremo, una pericolosa caccia all’uomo: venti minuti lo separano dai creditori che, armati di fucili, avranno quel tempo limitato per stanarlo e ucciderlo. Sopravvissuto, Nikita entra in una dimensione in cui il terrore e la follia si insinuano nella sua vita al punto da non poter fare a meno del desiderio di continuare a essere cacciato. Inoltre l’inaspettato incontro con la giovane Helene (Silvia De Santis) lo coinvolgerà in pericoloso gioco di scelte in una sfida estrema con la morte.
Al di là del tema portante, l’eterna caccia tra preda e predatore, il film prende corpo su interrogativi fondamentali sulla vita dopo la morte e la reincarnazione. Su questa base si innesta la vicenda del protagonista, preda per caso e poi per scelta in un percorso al limite della follia che lo porta a dipendere ossessivamente da un brivido vitale nella sfida aperta e cercata con la morte.
I due punti di forza dell’opera, sono a detta dello stesso regista-attore, l’imprevedibilità e l’asincronicità. Ed effettivamente il film appare come una favola nera che mescola generi come il noir, il melodramma, il western, imprevedibile e asincrona, dall’andamento sincopato e a tratti nervoso, immersa in un’atmosfera ricca di rimandi e citazioni. Da vero cinefilo e amante dell’arte, Giannini inserisce tanti omaggi ma uno solo evidente al cinema espressionista tedesco con una scena di M - Il mostro di Düsseldorf di Fritz Lang e una serie di richiami all’arte figurativa (non casuale il riferimento al visionario pittore William Blake). Il risultato è un film per certi versi spiazzante e di non facile lettura ma ben girato (in spazi avventurosi e metafisici insieme, tra boschi notturni, laghi nebbiosi, neve candida e deserto color ocra) e ottimamente recitato (l’applauso più grande va al protagonista-mattatore).
Il fatto che si tratti di un’opera intimamente sentita e nata dalle suggestioni di un artista non fa che accrescerne il fascino, così come lo spunto preso dal racconto sentito diversi anni fa su una pratica diffusa in Africa da parte di ricchi bianchi, che, stufi di elefanti e tigri, sceglievano di cacciare uomini neri che, per non morire di fame, accettavano ricompense in denaro.
Certo la sequenza finale, volutamente misteriosa e misticheggiante con quel ripetuto rimando all’immagine del coniglio, lascia aperti dubbi e interrogativi, ma in fondo forse questo è proprio quello che voleva il regista. Se poni domande, dubbi, allora sei vivo.
Al di là dell’esito, quello che traspare è la passione di un uomo e di un artista in un gioco di rimandi continui tra arte e vita, tra l’attore e il suo ruolo. Nikita-Giannini ha il vizio del gioco (delle carte prima, della caccia mortale poi), come l’attore Giannini ha il vizio di recitare (nel senso inglese del verbo “to play”) cioè di “giocare”, sempre e comunque. Perché, in fondo, ne vale sempre la pena.
Un gradito ritorno per un grande del nostro cinema, uno dei pochi capace di costruirsi una carriera anche internazionale. Un’opera piena di simboli, originale, ma soprattutto coraggiosa, capace di far pensare sul mistero insondabile della morte raccontando, tra vita e morte, bene e male, oscurità e luce, la corsa di un uomo solo, ancora una volta alla ricerca disperata del senso della vita.

Elena Bartoni
 

 


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